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TurnOn America! [Part ONE]

Come avrete saputo (probabilmente da noi!), il nostro direttore è convolato a nozze lo scorso 18 dicembre. Il 26 è partito alla volta degli States, per la meritata luna di miele con Marina.

Ne abbiamo approfittato per un Diario di Viaggio, che pubblicheremo a puntate qui sul nostro sito. Com’è l’America che si prepara a dire addio a Obama e ad accogliere The Donald? Quant’è ancora accogliente? Come se la passano i nostri connazionali oltre Atlantico? Cosa vedere e cosa tralasciare, se siete in procinto di visitare la East Coast? Sono solo alcune delle domande a cui il diario tenterà di dare risposta.

Buona lettura!

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Giorno uno

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Volo tutto tranquillo, a parte il fatto che ormai volare con Alitalia vuol dire prendere una sottomarca di Etihad, il cibo dovrebbe essere il nostro marchio di fabbrica da esportare nel mondo, invece in volo ti fanno mangiare delle cose che se lo sapessero le nonne d’Italia si riunirebbero subito per una guerra civile.

L’arrivo negli States è da copione, bandierone americano e file, tante file. Controllo passaporti, immigrazione, dogana, dove vai, quanto resti, che porti. Domande, file, controlli e ancora file, alla faccia dell’accoglienza e della solidarietà, perché siamo tutti fratelli ma qui comando io!

Boston ci accoglie silenziosa, poca gente in giro, freddo e luci di Natale. Di Trump ancora niente, anzi all’aeroporto ci accoglie un video del presidente Obama che ci da il benvenuto…

Giorno due

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Ci aspettavamo il freddo gelido del nord e invece un caldo scirocco, sintomo che la terra sta davvero molto bene (!!!), rende l’aria inspiegabilmente tiepida. Ci dirigiamo verso il famoso Freedom Trail, un percorso di circa 4 km lungo la città che ripercorre i luoghi più salienti della guerra di indipendenza. Bello, interessante e chiaro, ma cavolo… hanno un risentimento che in confronto i palestinesi sono dei chierichetti.

La via di mattoncini rossa ci porta fino al North End, la Little Italy di Boston, un festival di “Mario’s” “CiccioBello” e “bella mia”, la gente è cordiale: conosciamo uno strano tizio che vuole parlare un italiano che anche solo chiamarlo così farebbe rigirare nella tomba il povero Dante, ridiamo un po’ e ripartiamo. Il pranzo lo passiamo al Quincy market e gustiamo la celebre Bread Bowl: la zuppa di granchio dentro il pane. L’aspetto sembra vomito di neonato, ma il gusto è notevole, digeriamo con una coca, perché che si sappia, non è vero che in America bevono solo Pepsi, e siamo di nuovo carichi.

Nel pomeriggio ci dirigiamo a ovest, superiamo il parco e veniamo rapiti letteralmente dalla biblioteca. Non servono parole, un paradiso per gli amanti della lettura, il silenzio è oro colato, l’odore della carta, dell’inchiostro, rendono l’aria magica. Ci spingiamo tra un libro e l’altro, tutto si ferma è immobile, scrocchiamo la connessione gratuita e il tempo si arresta. Boston ci sta facendo innamorare di lei ogni giorno di più.

Giorno tre

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Boston ci da il buon giorno con un vento gelido che sa di neve. Ci taglia la faccia ogni volta che riesce a passare tra un grattacielo e l’altro, ripaghiamo tutte le buone speranze del clima mite di ieri. Prima tappa la J.F. Kennedy library, un luogo di culto, quasi tempio zen per gli amanti della politica e della storia recente americana.

Per arrivarci prendiamo la Red line – della quale parleremo a breve – e un autobus. A sole tre fermate dal centro cittadino siamo catapultati praticamente nella grande depressione del ’19: case fatiscenti, stazioni abbandonate e homeless agli angoli della strada intenti a parlare da soli con una verve da veri anchorman. L’America è anche e soprattutto questa, un paese in crisi, in forte crisi.

Il museo è da brividi, pochi turisti, e solo americani, ripercorriamo le tappe del presidente tragicamente ucciso e ci sembra di tornare indietro negli anni sessanta. Usciamo e pensiamo a Trump, al suo ciuffo e alle sue idee: la magia viene rotta violentemente.

Riprendiamo la metro per il centro, adesso nota a margine per i trasporti di Boston. Gli autobus praticamente non esistono, la metro è la stessa da almeno trent’anni. Treni vecchi, odori indimenticabili e una difficoltà nel capire incroci, prezzi e direzioni che mi è venuta voglia di inscrivermi a ingegneria aerospaziale. Nel pomeriggio andiamo ad Harvard, la famosa zona universitaria. Sto cercando ancora i moduli di iscrizione ai corsi, il paradiso per gli studenti, librerie, caffè, pasticcerie e aule. Un po’ stucchevole il merchandising dell’ateneo. Vendono di tutto con il marchio universitario, ma d’altronde non sarebbero loro se non fosse così.

Serata in albergo a ricaricare le pile, mi sto vedendo in questo momento una partita di football, uno sport che continuo a non capire, soprattutto non capisco la necessità di inventarsi nuove regole quando bastava giocare a rugby. Vedo i giocatori e vedo più panze che all’October Fest: c’è speranza per tutti!

[to be continued…]