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Tutto davanti a questi occhi, il racconto di Sami Modiano

Una mattina di luglio a Rodi, allora italiana. Anno 1944, in piena guerra: “raccogliete tutti i vostri beni preziosi e raggiungete la caserma”. Inizia così il racconto di Sami Modiano. Prima il sequestro, poi una nave merci e un viaggio in mare, di un mese, verso la morte e con la morte già negli occhi. Negli infernali giorni di navigazione chi non ce la fa viene buttato in mare, come un peso, un oggetto rotto. La vita ha già un altro valore: nessun valore. Rimane solo quel soffio di speranza, dato dall’inconsapevolezza della meta e dalla presenza delle famiglie, ancora unite nelle stive. Sami è con il papà e la sorella. La mamma se n’era andata anni prima. “Ringrazio il padreterno per non averle fatto vedere tutto questo” ripeterà Modiano per tutta la sua esistenza. 

All’arrivo – Auschwitz Birkenau – la selezione della merce, la separazione. “Là gli uomini, dall’altra parte le donne”. Vana ogni resistenza. Il padre di Sami viene barbaramente picchiato per aver provato a trattenere sua figlia. In due, poi in tre colpiscono la sua dignità di genitore prima del suo corpo. 

La prima notte Sami è solo con i suoi quattordici anni. Il papà è in un’altra struttura. Alle 6:00 i lavori forzati, per dodici infinite ore. Ma la sera, stremato, di nuovo la sua voce, fuori dal dormitorio. Una carezza, un po’ di calore. Di nuovo una buonanotte: “riposati Sami, domani sarà una giornata faticosa”; quelle parole non riescono però a colmare il vuoto della separazione. Il sonno è agitato.

Il freddo e la sofferenza si portano via prima la sorella e poi suo padre, sconfitto dalla disperazione per la figlia persa. Prima di andarsene, però, sussurra le parole che hanno tenuto e tengono in vita ancora oggi Modiano. “Devi farcela Sami!”

Sami ce l’ha fatta, a modo suo. Nel modo dei sopravvissuti. Un percorso di oltre 70 anni, di ricordi strazianti e, soprattutto, domande. Qual è il senso della sopravvivenza all’inferno di Birkenau? Perché proprio io?
La liberazione dal campo del 1945 perde immediatamente ogni valore positivo e diventa l’origine di una lunga espiazione dal senso di colpa per quel paradossale privilegio che grava sulle spalle di chi è stato salvato, ma ha visto. “Tutto davanti a questi occhi” è il sussurro addolorato di Modiano nel suo racconto a Walter Veltroni. È un urlo strozzato, di chi ha continuato a vincere sulla morte, dopo aver visto gli abissi dell’animo umano rappresentarsi davanti a sé. È un dolore che si può raccontare. Capire mai.

Sessant’anni dopo, nel 2005, Sami è tornato a Birkenau e, solo allora, ha compreso il perché. In un momento tutto il dolore, la sofferenza, hanno avuto un significato, liberandolo dall’oppressione della solitudine, della sopravvivenza: essere testimonianza.

“Ho accompagnato 300 ragazzi ad Auschwitz-Birkenau. Mancavo da 60 anni da quel posto. Mi ricordavo ogni passo che facevo. Rivivevo tutte le scene che avevo già vissuto. Avevo le lacrime agli occhi. Ma la mia grande sorpresa fu che anche i ragazzi piangevano. Allora ho capito che sono stato scelto perché i ragazzi hanno bisogno di meQuando io non ci sarò, ci saranno loro; e loro faranno in modo che questo non succeda mai più”.