TurnOn America! [Part THREE]

Prosegue il viaggio in America – lungo la East Coast – del nostro direttore. Se vi siete persi la puntata precedente, cliccate qui.

Giorno sette

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Mario’s, Gennaro’s, bella mia, pizza, spaghetti e mandolino, santi, baffi e tricolori, ma per lo più cinesi, macchinoni e trappole per turisti attratti solo dal nome e dal colore. Little Italy è un’enorme delusione. Una strada all’interno della caotica China Town è nulla più, camerieri fuori ogni ristorante nel disperato tentativo di far entrare clienti all’interno, usando un italiano che neanche Al Pacino né Il Padrino… e tanti, troppi negozi per souvenir che farebbero schifo anche ai peggiori bori della capitale.

Camminiamo tra le vie un po’ infastiditi, fortunatamente lì vicino c’è Soho, meta preferita per artisti e avanguardie dove i negozi sono eccentrici e i ristoranti chic. Mangiamo un’ottima pizza, miracolosamente, e ci incamminiamo verso la Midtown.

Il programma prevede la visita all’Empire State Building, uno dei simboli più famosi di questa città. Ci facciamo la nostra dose di file quotidiane, quella per entrare, quella per pagare, quella per prendere l’ascensore, quella per andare vicino la finestra e infine quella per uscire. La vista dall’ottantaseiesimo piano è un colpo, lascia senza fiato e ripaga ogni istante passato in coda. È già notte. Ci godiamo le stelle e le luci di questa che è una città magica, dove davvero tutto ti sembra possibile.

Giorno otto

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Lady liberty è pur sempre lady liberty. Un simbolo per tanti nostri connazionali arrivati qui in cerca di fortuna, un’icona di quest’America da noi sognata fin da bambini e adesso mai così vicina, mai così vera. Dovevamo farlo e lo abbiamo fatto. Traghetto da Battery Park, dopo anche qui l’ultima ed ennesima fila di un’ora, e via, alla volta della Statua della libertà.

Non visitiamo il museo all’interno, ma ci limitiamo ad ammirare la statua come fossimo due migranti ad inizio del secolo scorso. Proviamo ad immaginare la speranza, la voglia di fare, la paura, la nostalgia di chi mollava tutto e partiva per un mondo nuovo, le immagini ci vanno inevitabilmente subito ai nostri giorni, alle nostre coste e a come siamo cambiati, a quanto siamo irrimediabilmente peggiorati. L’America, soprattutto New York, ci è sembrata una città tollerante, ma attenta, dove i controlli sono praticamente ovunque, ma al tempo stesso ti senti cittadino del mondo, parte fondamentale di un agglomerato di culture e sottoculture dove nessuno sembra essere escluso. Ora, magari la mia è una visione idealistica, in fondo sono stato qui pochi giorni, ma la sensazione è questa e poi il diario è mio e mie sono le sensazioni…

Per ragioni di tempo non riusciamo a visitare Ellis Island, ma in contempo raggiungiamo il MoMa. Adesso, io non so bene che rapporto abbiate con l’arte, ma questo è davvero uno dei musei più belli del mondo e se a dirlo è uno che ha nel proprio Paese bellezze del calibro degli Uffizi, dei Musei Vaticani o della pinacoteca, dovete crederci. Van Gogh, Gauguin, Cezanne, Dalì, Kandinskij, Monet, Mirò, Warhol, Pollock, sono solo alcuni dei grandi artisti che riempiono le pareti di questo palazzone a pochi passi dalla 5th av. New York è così. Vuoi un negozio sfavillante dove spendere migliaia di dollari? C’è! Vuoi correre nel parco? Puoi farlo! Vuoi mangiare cibo da chissà quale angolo sperduto della terra? Perché no! Infine, vuoi ammirare grandi artisti del novecento? Ovvio!

Passiamo l’ultima sera al Madison Square Garden, ci gustiamo una partita dell’Nba e veniamo trascinati da un entusiasmo travolgente. Anche qui tanti controlli, poi però birra e cibo da strada, atmosfera da festival bar e ognuno che si sente partecipe dell’evento come se appartenesse ad un’unica grande famiglia. Lontano anni luce dal nostro modo di intendere lo sport, ma davvero affascinante.

Ci dirigiamo verso l’albergo lasciandoci dietro le luci di Times Square, la punta dell’Empire e le vetrine di Macy’s. New York ci ha conquistati. Una città unica nel suo genere, imparagonabile con la maggior parte delle metropoli europee. Non è né bella né brutta, è semplicemente New York. Di Trump, salvo qualche souvenir, non c’è granché, poca la voglia di parlarne da parte della gente e l’impressione che non si rendano bene conto di cosa hanno fatto. La politica qui c’è, ma è vista al pari di una partita di NBA o di baseball, distanti dalla nostra visione da vecchio continente. Noi scherziamo di meno sulla Res Publica, loro la banalizzano molto, forse troppo.

Domani si parte alla volta del sud della Florida repubblicana, dove la crisi magari si sentirà meno, visto il tenore di vita di Miami e dove, forse, saranno più contenti di vedere un miliardario alla Casa Bianca, alla guida di quella che una volta era la nazione più potente al mondo e che vuole ritornare ad esserlo.

[to be continued…]