TurnOn America! [Part FOUR]

Ultima tappa del viaggio del nostro direttore nella East Coast: la Florida. A pochi giorni dal suo rientro in Italia, pubblichiamo l’ultima pagina del suo diario. Se vi siete persi la puntata precedente, potete trovarla qui.

Giorno nove

miami-spiaggia-usa

Miami è rumorosa, è il 15 agosto sulla riviera adriatica, quando decidi la mattina di passare lì il ferragosto e pretendi pure di mangiare bene e spendere poco. C’è traffico, ci sono locali ovunque, discoteche, night, vendono praticamente qualunque cosa e tutto ha un sapore cubano misto allo statunitense.

Mi spiego meglio: gli ispanici che sono qui – e credetemi sono davvero molti – si sentono così attaccati alla propria terra da usare quasi solamente lo spagnolo come lingua, al tempo stesso però sono negli States, inseguono anche loro il sogno a stelle e strisce e provano, abbastanza goffamente, ad imitare i propri vicini. Il risultato è un frullato di cattivo gusto, colorato e chiassoso, dove tutti mangiano male e ballano salsa, mentre ti passa accanto il palestrato in perfetta forma fisica che fa una corsetta sull’Ocean drive o ammiri la sfavillante villa di chissà quale vip.

Miami è una palla luccicante dell’albero di Natale, quella che cattura tutta la luce e fa brillare il salone, ma che al tempo stesso odi perché fino al 6 gennaio non si può tenere una strobo in camera. Noi ci perdiamo a South beach, mangiamo male, ma mangiamo. Immergiamo i piedi nell’oceano e dopo due lunghissimi giorni ripartiamo. Non è il nostro ambiente, salutiamo la città di tanti telefilm pensando che forse non la rivedremo più e con lei i tanti, troppi italiani che la popolano, a partire dal business man in cerca di affari, alla coppia in viaggio di nozze… al gruppo di ragazzini pronti a nuove conquiste.

Giorno dieci

usa-on-the-road

Passata la tappa Miami, ci gustiamo un rilassante viaggio in macchina, destinazione Orlando. Guidare in America era uno dei miei sogni. Immaginavo enormi distese, campi sterminati e pascoli, accompagnati dalla musica di Lynyrd Skynyrd con il suo Sweet home Alabama. Beh, la Florida non è proprio così. Le strade sono enormi, cinque corsie, limiti di velocità, svincoli che se per caso sbagli, ti ritrovi immediatamente a Tagliacozzo senza nemmeno accorgetene, e intorno il nulla, il nulla vero. Distese di vegetazione di cui non vedi la fine. Ci siamo fatti quasi 300 km senza una sola curva, credo di aver addirittura dormito mentre guidavo, una prova di forza che neanche il miglior camionista avrebbe superato senza intoppi.

Qua e là un cartellone pro Trump con lo slogan Make America great again, sintomo che da queste parti il ciuffo d’oro ha il suo nutrito seguito e arriviamo nella città dei divertimenti. Due giorni di parchi giochi, Universal Studios e Disney World.

Adesso in qualunque modo la si pensi, qui si respira un’aria magica, è un sogno per qualunque età, si ritorna ad essere piccoli. I personaggi della nostra infanzia prendono vita e tutto sembra trasformarsi in qualcosa di magico. Facciamo tante file, si, è vero… spendiamo tanto, ma alla fine ne vale veramente la pena. Harry Potter agli Universal e le fiabe Disney a Magic Kingdom sono davvero unici. La parte migliore è vedere i bambini impazzire letteralmente di gioia e anche noi non siamo da meno. Usciamo con la spensieratezza che forse dovremmo ricordare di avere più spesso. Il mondo ci sembra un pizzico più bello. Lo sappiamo, è tutto finto, è una macchina per far soldi e gli americani sono megalomani, va bene, ma abbiamo sognato ad occhi aperti. Ci siamo lasciati trasportare dall’euforia e dall’ immaturità. Va bene così, domani, al resto, ci penseremo.

L’ultima tappa del nostro viaggio sarà al sole dei Caraibi. Finisce qui la nostra America, un Paese che ci è sembrato per certi versi in forte crisi, ma mai fermo a piangersi addosso. Un Paese dalle forti contraddizioni, dove non esistono stranieri o diversi, ma i controlli, soprattutto se vieni da fuori, sono serratissimi. Un Paese alle prese con questo nuovo Presidente, che preoccupa un po’ tutti, ma forse più noi europei. Qui, alla fine, si vive con molta teatralità l’affare politico e non ci si preoccupa in fondo di niente.

Un paese che ha enormi file per fare tutto, salvo poi andare al museo di Kennedy, tra i più belli visitati o al MoMa di New York e non trovare quasi nessuno. L’America è ferita, ma non lo dà a vedere. Gli americani noi non li abbiamo visti, abbiamo visto i cittadini del mondo che abitano da queste parti, dove i confini non esistono e l’unica lingua che si parla è quella del dollaro.