Liberiamo la scuola italiana dall’alternanza scuola-lavoro!

Per accedere agli esami di maturità gli studenti italiani devono svolgere, nel corso del triennio finale delle scuole superiori, da 200 a 400 ore di alternanza scuola lavoro. Naturalmente, in periodo di Covid, quest’obbligo è stato sospeso e, subito, da molte parti, è stata espressa la preoccupazione che la scuola-lavoro potesse essere anch’essa una “vittima” della pandemia. Mi sono occupato spesso, con colleghi di valore, del progetto di percorsi di alternanza scuola-lavoro dell’IIS Copernico di Pomezia e conosco bene le difficoltà nel ricercare il giusto compromesso tra il diritto degli studenti all’istruzione e il diritto al lavoro.

Tutti i docenti che hanno lavorato con me hanno sempre aderito, con entusiasmo, alla filosofia del “sapere e saper fare” ma, a parte qualche rara eccezione, i risultati sono stati sempre molto deludenti: spesso non abbiamo  trovato nemmeno le aziende di settori coerenti con gli indirizzi di studi del nostro Istituto per progetti finalizzati all’acquisizione di competenze più pratiche.
L’obbligatorietà di questa attività ci ha costretti, a volte, a “collaborazioni al ribasso” con aziende che hanno disatteso completamente le nostre aspettative facendo svolgere ai ragazzi attività che non avevamo concordato. D’altra parte, nessuno ci ha mai fornito i criteri oggettivi che consentissero di ritenere valido un progetto di alternanza scuola-lavoro.

Vi è anche da considerare che negli istituti tecnici e professionali gran parte delle conoscenze specifiche d’indirizzo vengono acquisite nel corso dell’ultimo anno; quindi, esperienze  professionalizzanti  possono   essere svolte, con profitto, solo nell’anno in cui i ragazzi sono impegnati a preparare l’esame di maturità. Ci sono poi studenti che vogliono proseguire gli studi e che ritengono, a ragione, che  queste attività siano  svolte a scapito di una più ampia e approfondita preparazione teorica e di laboratorio,  che consentirebbe loro un più facile inserimento ai corsi universitari.
Non nego che ci possano essere esempi di alternanza-scuola particolarmente riusciti con benefici per gli studenti e le aziende. Soprattutto se, come avvenuto in Lombardia, si creano piattaforme digitali in cui far  incontrare progetti e competenze e si redige  un elenco di  competenze acquisite a fine progetto. Normalmente, però, si ha la sensazione di un fallimento clamoroso in tutta Italia.
In particolare nelle regioni del Sud, dove si sono verificati episodi deprecabili di sfruttamento in cui  gli studenti sono stati utilizzati in attività di volantinaggio o nella pulizia bagni e pavimenti di  mense aziendali. Forse, in questi casi, lo sviluppo della classica “area di progetto”, costituita da una serie di classiche lezioni frontali con attività sperimentali di laboratorio e verifiche finali, sarebbe stata un’alternativa molto più utile.

Quasi tutti i docenti con cui ho discusso dell’argomento sono stati d’accordo nella necessità di eliminare l’obbligo di questa attività e riservarla solo alle scuole di arti e mestieri artigianali, per introdurre i ragazzi all’esercizio concreto dell’attività professionale, evitando di disperdere ulteriori risorse destinate alla scuola. Quello che sarebbe utile per fronteggiare il grave problema della disoccupazione, è, invece, un contratto annuale di formazione aziendale dopo il diploma e a carico dello Stato: ogni studente alla fine del corso di studi superiore dovrebbe poter disporre di un anno di apprendistato necessario all’acquisizione delle competenze necessarie, secondo le esigenze specifiche aziendali, per consentirgli  un rapido  inserimento nel mondo del lavoro.