tomba Giacomo Manzù

La tomba vuota e il futuro di Ardea

Da lunedì – giorno in cui riapriranno i musei in tutta Italia – una tomba vuota accoglierà i visitatori del Museo Manzù. Il corpo del Maestro, infatti, ha definitivamente abbandonato quel luogo che – secondo le dichiarazioni insistenti della famiglia nel 1992 – aveva scelto come sua dimora, dopo la morte. Poi gli anni passano e si sa: l’Italia è quel Paese dove puoi fare e disfare, senza troppi problemi e senza che nessuno ti chiami a render conto di ciò che avevi detto o fatto negli anni e nei decenni precedenti.

La tomba vuota, in fondo, ricorda ad Ardea anche una sua antica missione: quella di terra di conquista. Vuota, spoglia, bruciata, ridotta a cenere era la città narrata da Ovidio nelle sue Metamorfosi, dopo la conquista romana. Vuote sono le tombe e i siti archeologici puntualmente depredati da avventurieri e speculatori di ogni sorta (i famosi tombaroli che ancora oggi, a volte, si intravedono coi metal detector, a perlustrare le terre antiche sotto la rupe).

È quasi una vocazione, quella dell’antica città dei Rutuli: arricchire qualcun altro, esser una terra assoggettata, assediata. È così anche in epoca moderna, con quei quartieri che ancora oggi portano i nomi piuttosto ridicoli delle lottizzazioni (Nuova Florida, Nuova California…), perché nati – appunto – attorno ad interessi economici e non frutto di un disegno comunitario. E poi i consorzi, i comuni nel comune che agiscono come feudi piuttosto che come strumenti di governo del territorio, impedendo il pieno utilizzo di una delle due grandi ricchezze del territorio: il mare. E ancora: l’urbanistica pressoché assente di una città di 50mila abitanti, dove tutto ciò che viene eventualmente fatto (molto più spesso annunciato) è frutto di PRINT presentati – appunto – da costruttori privati. Interessi legittimi e persino positivi, se posti a servizio di un bene collettivo. Solo che qui la volontà manca e forse anche il collettivo.

C’è un disegno, non saprei dire se voluto o meno, di disgregazione. La regola di governo romana per eccellenza era divide et impera. E così, nella guerra fratricida tra quartieri (quelli di Nuova Florida contro i “burini” della rocca, quelli della Rocca contro gli “stranieri” venuti da Roma, quelli di Tor San Lorenzo che vogliono l’autonomia, quelli di Montagnano al solito dimenticati da tutti…), si avvantaggiano sempre loro: i piccoli interessi e i piccoli uomini che ne sono portatori. Basta visitare in un giorno feriale l’ufficio tecnico, con le sue sliding doors, dove gli impiegati del Comune sono seduti accanto ai geometri (sempre gli stessi, attuali o ex consiglieri comunali, quasi tutti di opposizione).

Non ci sono i “poteri forti” contro cui sembrava aver avuto la meglio l’attuale maggioranza: qui di forte non c’è nessuno. È un gioco a perdere e perdono tutti.

È possibile cambiare? Certo. Tutto ciò che è umano può esser cambiato. Serve tempo e gradualità. Ma soprattutto una volontà chiara.

Come se ne esce, allora? 

Sappiamo innanzitutto come non se ne esce. Non se ne esce votando questo o quel partito. Non se ne esce, insomma, facendo vincere il PD, Fratelli d’Italia o la Lega, o il Movimento 5 Stelle. Il simbolo non garantisce nulla, in un’epoca in cui i partiti sono ormai T-Shirt da mettere e togliere all’evenienza.

Non se ne esce dividendosi tra quelli di adesso e quelli di prima. Questa città ha bisogno di una forza di governo seria e un altrettanto seria forza di opposizione. E al momento, non possiede né l’una né l’altra. Non basta l’onestà, serve consapevolezza, competenza, conoscenza e amore – viscerale – per questo territorio e per coloro che lo abitano. E la vicenda Manzù (basta guardare la tristezza dell’ultimo Consiglio comunale) mostra chiaramente che sono tutte qualità che mancano e di cui ci sarebbe estremo bisogno.

C’è solo un modo per uscirne.

Ardea ha bisogno di una classe dirigente completamente nuova. Diversa da quelli di prima e dalla loro incapacità di cambiare (son sempre gli stessi, da decenni e nonostante i fallimenti). Diversa da quelli di adesso e dalla loro incapacità di entrare in sintonia con la città.   

L’unico modo per cambiare veramente richiede l’impegno diretto di chi quotidianamente si dedica alla costruzione di una comunità senza la quale non esiste città e non esiste futuro: uomini e donne, ragazze e ragazzi impegnati nell’associazionismo cittadino, nelle parrocchie o nel volontariato, piccoli imprenditori che – nonostante tutto – hanno deciso di investire sul nostro territorio, liberi professionisti, medici, insegnanti, piccoli commercianti, artisti e artigiani che di fronte al degrado sono capaci di vedere un’opportunità di sviluppo. Per cambiare, abbiamo bisogno di persone che hanno a cuore la città, che più che lamentarsi hanno voglia e desiderio di mettere a disposizione la propria esperienza per costruire. Partendo da una visione chiara. E da un disegno di sviluppo urbanistico che include, non esclude, che ascolta i bisogni e sa elaborare possibili risposte.

C’è una città da costruire, dalle fondamenta. O partiamo dalle risorse migliori di cui Ardea dispone. O ci troveremo tra trent’anni a parlare di buche. E ad ammirare, ancora una volta, una tomba vuota. Simbolo di ciò che Ardea poteva essere e non è stata.