La storia infinita

Esce questi giorni in edicola il terzo numero cartaceo de Il Turno. Un numero con una gestazione lunga (la redazione ha iniziato a lavorarci poco meno di un anno fa!), perché lunga e complessa è la storia che abbiamo voluto raccontare. Vi proponiamo qui di seguito l’editoriale che ritroverete in prima pagina, sperando che vi incuriosisca a tal punto da voler andare in edicola o in qualche esercizio commerciale per sfogliare il resto!


Salzare è un sostantivo di appena sette lettere, femminile, plurale. L’etimologia è incerta, così come il suo significato. Probabilmente, in Italia, il termine è sconosciuto ai più. Non agli abitanti di Ardea, però. A chi inizia a digitare la parola su Google, il motore di ricerca suggerisce subito il nome della città, quasi fosse un nome unico, tutto attaccato.

Chissà come erano le Salzare settant’anni fa. Ci piace pensare che somigliassero a quella singolare meraviglia che si staglia di fronte ai nostri occhi, al tramonto, alle foci del fiume Incastro. Le canne che si flettono per la lieve brezza che spira dal mare, mentre il sole fa capolino tra le onde. Chissà se era questo il paesaggio custodito dai Rutuli, ai tempi del re Turno. Chissà se era lo stesso tramonto che accompagnava i mercanti che approdavano al Castrum Inui, l’antico porto della città che brucia e non muore. Chissà, infine, se fu questo uno degli elementi che colpirono il maestro Giacomo Manzù, tanto da farlo innamorare di questa terra, la sua terra. Così bella quanto insidiosa, piena di meraviglie e di contraddizioni.

Non è forse una curiosa contraddizione se oggi il termine “Salzare”, abbandonati gli antichi connotati, assume le sembianze di un mostro a due teste? Da un lato, è con questa parola che oggi indichiamo ciò che rimane del Residence Lido delle Salzare, “il serpentone” come lo chiamano molti, simbolo di degrado e abbandono. Dall’altro, lo stesso sostantivo indica la vicenda dei 704 ettari di usi civici, l’istituto medievale che – in questo nostro Bel Paese – ancora ha il potere di tenere in ostaggio un terzo della Città. Chissà se sono nati prima gli usi civici o il termine Salzare?!?

È forse questa contraddizione il soggetto di questo nostro terzo numero, il primo dedicato ad una questione squisitamente ardeatina, che esce alla fine di un’estate pigra e ambigua, quasi come il territorio in cui questa storia bicefala si staglia. Abbiamo tentato di offrire ai nostri lettori uno spaccato di una vicenda assai complessa, la cui trama somiglia molto a Game of Thrones, perché lascia il lettore – così come lo spettatore della serie di successo HBO – attonito di fronte all’incapacità di distinguere i “buoni” dai “cattivi” o di intravedere come andrà a finire la storia, chi avrà la meglio, se la parola “The End” arriverà presto o saranno ancora molte le peripezie che gli abitanti di queste terre dovranno sopportare.

A scorrere la lunga storia degli usi civici o quella più breve ma assai più intensa dell’orrendo “serpentone” che ancora oggi deturpa il paesaggio e il volto della città, speriamo solo di non suscitare in voi uno sguardo malinconico e fatalista. Se c’è una cosa che questa vicenda insegna è che nulla accade per caso. Non lasciatevi ingannare dalle singole vicende: leggete tra le righe e scoprirete, nelle pieghe del racconto, che spetta a voi e a noi capire se dare un senso alla storia, cercando di capire il significato del termine. O se lasciare che il vuoto di una città che stenta a divenire protagonista, sia riempito ancora una volta da quegli strani personaggi che abitano la penombra.