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Iron Mancio

Uno dei più grandi atleti del dopoguerra, il ceco Emil Zapotek, quattro volte oro olimpico (Londra ’48 e Helsinki ’52), primo corridore ad andare sotto i trenta minuti dei 1000 metri piani, diceva: “un corridore deve correre con i sogni del cuore”. Beh, questo ragazzo che andiamo a conoscere di sogni ne ha, eccome. E’ un sognatore nel senso più profondo del termine, perché solo la magica materia di cui sono fatti i sogni può dare la forza di compiere certe imprese, può regalare quel briciolo di pazzia che ti spinge a spostarti sempre più avanti, superando chilometri, abbattendo la fatica e raggiungendo obiettivi e traguardi.  Lui è Mirco Mancini, a Pomezia ed Ardea lo conoscono in tanti. Zapotek diceva che bisogna correre con i sogni nel cuore. Da bambino Mirco di sogni ne aveva tanti, come i suoi coetanei del resto, e come i suoi coetanei, rincorrere un pallone era in cima ai suoi desideri. La trafila nelle giovanili, i campi di pozzolana, le panchine, le tribune e gli esordi, un cognome forte, conosciuto, il passaggio al Pomezia Calcio e la vittoria nel campionato 2004/05 che riporta i rossoblu  in eccellenza dopo diversi anni.  I mister, da Del Grosso a Bacchiocchi, i compagni di squadra, la storia del calcio a Pomezia non può che passare da qui, anche perché, in quegli anni, si gettano le basi per la serie D di qualche stagione dopo, e perché Mirco Mancini, da tutti è considerato parte fondamentale di quel gruppo, una parola sempre per tutti e la massima disponibilità, dentro e fuori dal campo. Gli anni passano, gli impegni cambiano e il tempo per quello sport tanto amato è sempre di meno. Ritorna dunque una vecchia passione degli anni della scuola: la corsa. Predisposto a percorrere lunghe distanze, l’inizio non è difficile per lui. L’appetito però vien mangiando, le gare diventano sempre di più e soprattutto sempre più lunghe, la forza, la tenacia, ma soprattutto quel briciolo di pazzia che contraddistingue inevitabilmente un atleta che si mette in gioco come fa Mirco lo porta in breve tempo ai nastri di partenza del suo primo Iroman.

Adesso io non so se avete ben presente cos’è un Ironman. Partiamo da un passo indietro, la maratona, o meglio uno ancora più indietro: la corsa. La corsa è uno sport elementare, completo, ma abbastanza facile. Chi tra di noi non ha mai fatto qualche corsetta, magari per perdere quei tanto odiati chili di troppo. Bene, la maratona è la punta di diamante delle lunghe distanze (senza togliere nulla alle ultra, ai trail o alle 100 km), sono 42,195 chilometri. Perfino Montale si è scomodato pensando alla gara delle gare: “se la notte sogno, sogno di essere un maratoneta”, diceva il famoso scrittore. Sono 30 km di fiato, 10 di testa e 195 metri di cuore, una slavina di emozioni, un lungo viaggio attraverso paure, pensieri, sogni, che portano a quel traguardo tanto ambito e tanto sperato, e soprattutto, tanto meritato. Beh, l’Ironman è una gara in cui si finisce con una MARATONA, dopo aver fatto 3,860 km di nuoto e 180 km di bicicletta. Il tempo di cambiarsi e via, una disciplina dopo l’altra. Mirco ne ha corsi tanti, in tutto il mondo, ha nuotato in mare aperto, nei bacini, nei laghi, ha corso in bicicletta attraverso le colline emiliane o le strade svedesi,  e ha corso le sue maratone finali in Germania, Croazia, Florida. Una gara del genere è fatta di tanti momenti, tante emozioni, tante sensazioni, è fatta di lavoro, tanto specifico negli allenamenti antecedenti e soprattutto è fatta di tanto, tanto coraggio.

Già, il coraggio, perché per partecipare ad un Ironman ci vuole una dose si di pazzia, come abbiamo detto, ma anche un fegato smisurato, l’idea di partire sapendo di dover affrontare tanti ostacoli, la fatica, i crampi, la paura di non arrivare, è una componente fondamentale. Coraggio che poi si trasmette nella vita di tutti giorni, nella quotidianità, nelle piccole grandi sfide che siamo costretti ad affrontare. Il passaggio è breve, Mirco racconta di una gara su tutte, questa solo di corsa, che è e sarà sempre nel suo cuore: l’Amatrice-Configno. Nel panorama podistico è una gara conosciutissima e neanche a dirlo, dura, faticosa, ma affascinante. Mirco è di quelle montagne. Con la voce rotta ancora dall’emozione, racconta di quei 10 km, racconta della tragedia di un mese fa che ha colpito quei paesi, di come con la sua ragazza, si sia riuscito a salvare. La sua storia sa di miracolo. A noi piace associarla allo sport, perché grazie al loro essere atleti o almeno, grazie anche a quello, sono riusciti a salvarsi miracolosamente, in un modo che ancora oggi, a distanza di più di un mese, stenta a capire. Il Prossimo turno  vuole iniziare da questa storia i suoi ritratti degli sportivi, la storia di un atleta che fa della tenacia, della determinazione e della fatica la sua arma in più. La stessa che gli ha permesso di salvarsi la vita in un momento tragico come un terremoto. Nella speranza che per Amatrice, per i paesi colpiti, ci sia al più presto il tanto atteso prossimo turno, il prossimo traguardo da tagliare e/o distanza da riempire. Perché adesso per quelle montagne è il momento più duro della gara, ma il traguardo è lì. Bisogna stringere i denti, come durante gli ultimi metri della sessione di nuoto, dopo aver preso l’ennesimo calcio dall’atleta che ti sta accanto, o dopo l’ennesima salita in bici o peggio ancora nel muro del trentesimo chilometro della maratona. Non bisogna mollare, bisogna guardarsi dentro come Mirco Mancini fa ogni volta che si mette un pettorale e indossa le sue scarpe, fa un bel respiro e riparte, perché la fine è lì ed è sempre più vicina.

Mirco Mancini in futuro guarda all’arrampicata, come la sua compagna di vita gli sta insegnando. Conoscendolo, non ci rimane difficile immaginarcelo tra qualche anno sulla cima di una montagna, con l’obiettivo non più di fare più chilometri in lunghezza, ma di puntare direttamente alla vetta.