Impoverimento demografico

Ad Ardea, la politica abitativa pubblica è sempre stata scarsa e difettosa.

Gli alloggi costruiti con i soldi pubblici sono pochi, scadenti, piccoli e non sempre superano la soglia minima di dignità abitativa. 

Verso la fine degli anni sessanta, ad avvertire l’urgenza di abitare in case più grandi, sono stati i figli del baby boome di quello economico (i nati fra il 1935 e il 1955).  

Fino ad allora, famiglie con 5, 6 o 7 figli erano la norma e vivevano in appartamentini di 50, 60, 70 metri quadrati. A qualche eroe è riuscita l’impresa di farcela a stare in soli trenta metri. Come avranno fatto, non ce lo dirà neanche l’oracolo. Quel che si sa è che quando un componente della famiglia si sposava, gli altri facevano festa perché si liberava un posto letto.

Per soddisfare le nuove esigenze abitative, in poco tempo, nel caos totale, lo scarso spazio edificabile del centro storico si è esaurito. Preso atto, qualcuno ha iniziato a guardare altrove (Banditella e Salzare) e sommando caos a caos è iniziato il crollo demografico.

Tanto per non fare il criceto che gira continuamente attorno alla ruota, fornisco un dato. In via della Croce, di nati fra il 1946 e il 1966, abitavamo più di trenta. Attualmente, gli abitanti più giovani sono un adolescente e un paio di bambini: “poveri figli, chissà quanta solitudine proveranno”… e la coppia meno anziana è costituita da cinquantenni. Ci piaccia o no, il baby boome quello economico appartengono alla nostalgia per i tempi andati: al loro posto sono rimaste solo macerie.

Intanto, la situazione abitativa si è capovolta: se prima si viveva in 6, 7 o 8 dentro pochi metri, oggi nei grandi appartamenti costruiti allora, abitano spesso due intristiti vecchietti e il loro cane, ammesso che ce l’abbiano.

Le nuove famiglie, che sembrano affette da anoressia delle nascite, sono costituite da coppie non proprio giovanissime e quando hanno più di un figlio, sembrano numerose. 

Se nelle case in cui in sei, sette o otto persone si viveva male, ora abitassero in due o tre, sarebbero adeguate. Allo stato, alcune di quelle case, per lo più di proprietà pubblica, sono malinconicamente vuote. Perché non chiedere a chi ne ha titolo di tornarci a vivere? Si obietterà che non vogliono? Bene, nessuno può obbligarli a farlo. 

Però, più che lasciare che l’usura del tempo le divori, non è preferibile darle a chi una casa non ce l’ha?

In molti piccoli paesi, processi analoghi sono in corso da anni. 

Progetti di quella portata stanno andando in porto perché i comuni in questione si sono impegnati direttamente, mettendo in campo ambiziosi progetti abitativi, culturali, economici e occupazionali. 

Purtroppo, chi governa Ardea, più che provare a “vestire gli ignudi”, sembra impegnato a denudarli. 

Prima che sia troppo tardi, urge avviare un confronto fra più parti. Però, il minimo sindacale è ragionare attorno a un progetto capace di far tornare la gente a vivere ad Ardea e rivitalizzarla. Farlo sarebbe il minimo risarcimento a fronte delle massime umiliazioni subite da un paese poco rispettato e poco amato.

Purtroppo, ad Ardea, gente che poco l’ha amata e rispettata ne è passata tanta e tanta ce n’era già.

I pochi che l’hanno amata e rispettata, il più delle volte sono stati costretti alla resa. Però, non rassegniamoci: “La notte più lunga, eterna non è”.